La
strategia della resilienza.
Soluzione
o legittimazione del nuovo apartheid planetario?
Riccardo
Petrella , Professore emerito dell’Università Cattolica di Lovanio
(B)
Non
c’è nessuna ragione per pensare che le previsioni demografiche
dell’ONU riguardo il 2050 (fra soli 30 anni) saranno lontane dalla
realtà.(1)
The
Changing Distribution of World Population
Source:
United Nations.
I
dati sollevano una legittima domanda. Quante persone di queste
popolazioni saranno resilienti
alle
“emergenze “ (un’espressione cara ai gruppi sociali dominanti)
che già sconquassano la vita della Terra sul piano climatico,
ambientale ,economico, sociale e la sconquasseranno ancora di più,
si dice, nei prossimi decenni? Il mondo è già abbastanza malconcio
dal punto di vista dell’eguaglianza rispetto ai diritti di ed alla
vita. Sarà ancora peggio? La
domanda non è né ingenua né provocatoria. Precisiamo anzitutto
cosa s’intende per “resilienza”.
Il
“principio di resilienza”. Le “sorgenti” della resilienza
Da
alcuni anni la resilienza
è entrata con forza nell’agenda politica locale e mondiale
soprattutto in relazione alle conseguenze dei cambiamenti climatici
sulla vita ed il divenire degli abitanti della Terra: “Come
diventare resilienti?” “Costruire le città resilienti”,
“Agricultura resiliente”, “l’Africa resiliente”, “La
resilienza, agenda 2030”.
Il concetto
di resilienza viene dalla fisica e indica il grado di resistenza di
un metallo ad uno shock.
E’
stato poi allargato alla psicologia ed al mondo comportamentale
(individuale collettivo) per indicare la capacità di un essere
vivente a resistere e sopravvivere ad uno shoc tramautico. E’
diventato sempre più popolare nell’ultimo decennio a livello
mondiale in tutti i campi. Più il mondo é diventato preda di
sconvolgimenti maggiori, di grande insicurezza, di rischi naturali e
tecnologici, più la resilienza è stata percepita come la soluzione
ottimale necessaria in termini di capacità di resistenza e di
adattamento agli shocks.
Secondo gli
innumerevoli e proficui lavori realizzati dalle varie agenzie delle
Nazioni Unite e dalla Banca Mondiale , per resilienza si deve
intendere “the
ability of any system to maintain continuity through all shocks and
stresses while positively adapting and transforming towards
sustainability. (2)
Alla
fonte della concezione della resilienza odierna, c’è sopratutto il
rischio, percepito come una delle condizioni chiave dell’esistenza
umana e delle sfide da affrontare. Nelle società a tendenza
capitalista, rischi e sfide sono visti come il recto/verso di una
stessa realtà delle società umane del XXI° secolo. Non è un caso
che uno dei rapporti più letti dai dirigenti mondiali e divulgati
dai grandi media è ilGlobal
Risks Report
annuale prodotto sin dal 2006 dal World Economic Forum. (3) Un
rapporto utilizzato a buoni e cattivi fini soprattutto dalle grandi
imprese multinazionali per “spiegare” le loro scelte con
argomenti più “nobili” di quelli del profitto e della conquista
dei mercati. Il titolo del rapporto 2019 è piuttosto drammatico “Out
of control”.
Il
mito di Prometeo di oggi è riassunto nelle due facce. La differenza.
con il Prometeo “eroe-uomo” della tradizione greca sta nel fatto
che ieri Prometeo fu punito dagli dei non tanto perché rubo’ loro
il fuoco della conoscenza ma perché oso’ darlo agli esseri
umani.(4) Oggi è punito, da solo, non tanto perché si è reso
conto che concepisce ed utilizza la conoscenza senza precauzione e
quindi sta bruciado la vita ma perché (è mia convinzione) ha
venduto il fuoco ai mercanti della vita.
Tre
le sorgenti di rischio che, secondo i gruppi dominanti, sono alla
base delle sfide e delle conseguenti strategie che definiscono il
ruolo funzionale del principio di resilienza, troviamo:
- il rischio di disastri detti naturali . Cio’ ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro sulla necessità, non rispettata, di praticare una politica di prevenzione e, su questa base, di riduzione (in termini di occorrenza del rischio e di contenimento degli effetti indesiderabili)
- Il rischio di mutamenti causati dai cambiamenti climatici. Cio’ ha creato un consenso piuttosto generale sull’importanza della duplice strategia detta della mitigazione delle conseguenze e dell’adattamento alle nuove condizioni createsi (senza pero’ ad oggi nessun impegno di azioni risolutive radicali come si dovrebbe fare. Vedi il fallimento incredibile della COP25);(5)
- Il rischio di conflitti sulle risorse del Pianeta. Cio’ richiede una strategia di prevenzione e di risoluzione che sembra di difficle attuazione tanto gli imperativi di accaparramento e di dominio dei beni del Pianeta animano ancora la predazione economica e la difesa della sovranità/sicurezza nazionale.
Come
si puo’ notare, la concezione predominante limita le sorgenti
della resilienza ai rischi e shocks legati a fenomeni detti naturali
(disastri, cambiamenti climatici, inevitabilità dei conflitti sulle
risorse “vitali”). Cio’ è sempre meno corretto nell’era
dell’antropocene, la nostra, definita tale proprio perché la vita
della Terra è sempre più “man made” e la sua evoluzione è
dettata prevalentemente da fattori antropici. Siamo di fronte ad una
visione della resilienza che deve essere necessariamente corretta e
riconoscere che la strategia della resilienza non riguarda più
principalmente fattori esterni alla specie umana (vecchia concezione
della “natura”) ma a fattori interni al sistema societario
umano. Si tratta di un cambiamento considerevole di prospettiva,
soprattutto sul piano economico, sociale e politico. Il rischio
“maggiore” è nei sistemi costruiti dalle società umane nel
campo energetico, dei trasporti, in agricoltura, nel campo della
farmaceutica, nelle guerre, nelle regole di cittadinanza, nel campo
della finanza o del lavoro. Per questo si puo’ dire che non
vè resilienza senza cambiamento dei sistemi umani e che la parola
chiave è soprattutto cambiamento di sistema anziché mitigazione e/o
adattamento agli shocks..
Una verità che è stata ben captata dai movimenti per una Terra
sostenibile con il motto “cambiare
il sistema, non il clima”
ma che i dirigenti mondiali rifiutano ostinatamente di vedere ed
ammettere.
Questa
prima conclusione è altresi validata da una seconda serie di
considerazioni a partire da ulteriori evidenze.
Solo
i più forti saranno resilienti
I
dirigenti del mondo considerano che per essere resilienti occorrerà
soprattutto disporre 1) di grandi capacità economico-finanziarie per
finanziare gli enormi investimenti di lungo periodo in nuove
infrastrutture, nuovi processi produttivi, sostituzione di prodotti,
promozione di nuove reti di relazioni tra gli abitanti della Terra
in tutti i campi, e 2) di grande potenza tecnologica (potere
d’innovazione e di controllo delle priorità di sviluppo e delle
modalità di uso delle tecnologie, messa in piedi di nuovi sistemi
istituzionali ed educativi, non solo formativi, nuovi media.... ).(6)
La potenza tecnologica è considerata alla base della costruzione del
futuri del mondo (“Information society”, “Smart economy”, “AI
based society”....) di cui i capi delle imprese GAFA (7)
prefigurerebbero i “signori” e le “signorie globali” di
domani.
I
dati disponibili, di una certa affidabilità, riguardo le previsioni
economiche e la potenza tecnologica nel mondo attorno al 2050, in
quanto fragili e sommari non ci consentono di fare solide
affermazioni. Essi gettano una luce piuttosto debole, sufficiente
pero’ per dare una vaga idea di quel che rischia di diventare nel
2050 uno stato delle cose. In queso caso quel che conta non sono le
cifre ma il senso delle tendenze a vasto raggio.
Sulle
tendenze
economiche
si puo dire che il senso va in una riduzione relativamente
importante del peso “grezzo“ delle economie autodettesi
“sviluppate”
nell’economia mondiale Sui 10 paesi più pesanti in termini di PIB
nel 2050 (8) 4 apparterebbero al mondo occidentale (USA, Giappone,
Germania e UK) rispetto a un solo paese (gli USA) in ternini di
popolazione. Il che significa ( e cio’ vale ancora di più se si
prendono i top 30 paesi per il PIB), che i paesi “sviluppati”,
rischiano di mantenere la loro relativa supremazia in termini di
potenza economica (e soprattutto finanziaria).
Riguardo
i paesi chiamati “emergenti” da parte dei dominanti, è
interessante notare che, al momento, gli scenari futuri privilegiano
anch’essi la continuità delle tendenze attuali. Per cui non
sorprende di vedere fra i primi 10 la Cina, l’India (al primo e
secondo posto), l’Indonesia(4°), il Brasile (5°), la Russia (6°)
ed il Messico (7°).(9)
Il
che non significa che la capacità di resilienza delle loro
popolazioni aumenterà . Forse si puo’ immaginare che 400 milioni
d’Indiani riusciranno ad essere resilienti su una popolazione di
1,6 miliardo di persone. Forse in Cina essi saranno 500 milioni su
1,4 miliardo. E’ inoltre difficile immaginare che, allo stato delle
cose, in paesi come il Brasile, l’Indonesia, la Russia , il
Messico, caratterizati da enormi ineguaglianze sociali, economiche e
politiche interne, riusciranno in 30 anni a capovolgere la
situazione. Cio’ potrebbe solo accadere qualora una classe di
dirigenti alla Lula si moltiplicasse e restasse saldamente al potere
per una o due generazioni.
Per
quanto riguarda la
potenza tecnologica
ho preso il numero di brevetti richiesti (ed ottenuti) nel campo
degli organismi viventi ( molecole, cellule, genomi....nel mondo
vegetale, animale, umano) e degli alogiritmi (intelligenza
artificiale) come un indicatore piuttosto significativo di quel che
promette di bollere in pentola.
Secondo
l’ultimo rapporto dell’ OMPI (Organizzazione Mondiale sulla
Propriétà Intellettuale) (10) gli USA; il Giappone ed i paesi
dell’Unione Europea (in particolare Germania, UK, Francia, NL ed i
paesi scandinavi) rappresentano il 70% dei brevetti depositati
soprattutto nelle “famiglie” di brevetti strategicamente più
sensibili e determinanti. Solo 5 paesi del resto del mondo (Cina,
India, Israele, Singapore e Corea del Sud) sono riusciti ad occupare
una posizione crescente in seno al 30%, grazie anche al fatto che i
paesi occidentali, per ragioni di competitività e di convenienza,
tendono a depositare parte dei loro nuovi brevetti anche in Cina,
India, Corea del Sud...). Altrimenti detto, occorre modificare le
regole sulla legalità della brevettabilità a titolo privato e a
scopo di lucro del vivente e del’intelligenza artificiale,
introdotte solo nel 1980 dagli Stati Uniti e poi, a suo seguito, nel
1998 , dalla Univone Europea. L’obiettivo dovrebbe essere la
sottrazione della conoscenza dalle logiche del mercato e del
capitale finanziario e lasua ripubblicizzazione come bene comune
planetario da mettere al servizio del diritto di ed alla vita di
tutti gli abitanti della Terra.
Se
cio’ non dovesse avvenire non sono pronto nemmeno a scommettere un
euro sul futuro della resilienza come soluzione collettiva, per
tutti, di fronte ai disastri in corso e prossimo venturo.
L’impoverimento di tante centinaia di milioni e milioni di esseri
umani è stato in tutti questi secoli il modo efficace di rubare loro
la vita spiegando loro che la causa principale è stata il loro
non-adattamento al sistema ed ai suoi prerequisiti.(11) Allo stesso
modo, la strategia della resilienza, in assenza di un cambiamento
strutturale globale del sistema imperante (predominio dei principi
della società capitalista, mantenimento del principio della
sovranità nazionale assoluta sulle risorse del Pianeta, fede totale
nella tecnoscienza come motore principale della storita della vita
della Terra) rappresenterà una maniera cinica di legittimazione del
furto planetario della vita a vantaggio esclusivo dei gruppi sociali
resilienti dei paesi forti sul piano economico, finanziario e
tecnologico.
Chi
osa pensare, onestamente, che gli abitanti di Lagos , oggi 18
milioni, e quelli del Bangladesh (180 milioni) potranno essere
resilienti come lo saranno gli abitanti dei Paesi Bassi (oggi 18
milioni di esseri umani) se le fondamenta e le regole del sistema
economico e politico mondiale restano strutturalmente immutate?
Come
è concepita e prevista oggi, la resilienza contribuirà non a
soluzionare i problemi ma ad aggravare le condizioni di esistenza per
tutti gli esseri umani che non saranno forti tecnologicamente e
economicamente. E’ inaccettabile di considerare inevitabile che ci
siano sempre i dannati della Terra.
Bruxelles,
19 dicembre 2019
Note
(2)
Vedi per tutti
la definizione data dalla Banca Mondiale
https://www.worldbank.org/en/topic/urbandevelopment/brief/resilient-cities-programVedi
(4)
Rinvio allo scritto molto interessante di critica dell’ideologia
della tecnoscienza di quasi 40 anni fa di Jean-Jacques Salomon,
Promethé
empetré. La
résistance au changement technologique,
https://www.livrenpoche.com/promethee-empetre-e442505.html,
(5)
Cfr mio breve commento, in francese, apparso su Pressenza
del 16.12.2019
https://www.pressenza.com/fr/2019/12/apres-la-cop25-pour-la-lutte-de-liberation-mondiale-et-la-declaration-dindependance-des-habitants-de-la-terre/i
(6)
Banca Mondiale, op.cit.
(7)
GAFA sta per Google-Amazon-Facebook-Âpple
(8)
The
World Economy in 2050,
https://www.pwc.com/gx/en/issues/economy/the-world-in-2050.html.
Da prendere, beninteso, con le pinzette.
(9)
Ibidem
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